Intervista per "Liberi di scrivere"



Ciao Antonio, bentornato su Liberi di scrivere e grazie per aver accettato questa nuova intervista. Già nel 2010, quanto tempo, Giulia Guida ti ha intervistato (chi vuole leggere l’intervista) e da allora molte cose sono cambiate. Innanzitutto presentati, parlaci di te, e della tua professione di editor e di scrittore.

In quell’intervista Giulia mi incontrava in veste di autore, e rileggerla mi aiuta a risponderti. Penso che, se ho realizzato cose di valore in questi anni, è anche perché ho sempre lavorato con lo spirito di uno scrittore, invece che con quello di un dipendente. E dopo anni di battaglie, di scontri con menti ottuse, di progetti naufragati e andati in porto, posso dire che oggi sono fiero di tutte le mie scelte, sia personali che lavorative. Il fatto che sto ancora combattendo ne è la prova più concreta.

Lo scorso autunno ha preso il via Progetto Santiago, (ha un sito, invito i lettori a visitarlo, http://www.progettosantiago.it/) un’associazione culturale, ma forse qualcosa di più, una cooperativa di scrittori, giornalisti, sceneggiatori, editor, con a cuore (sembra così retrò dirlo) l’editoria e la letteratura nel nostro paese. Ce ne vuoi parlare?

La prima cosa che chiedo ai lettori è di fare attenzione: Progetto Santiago va osservato con attenzione perché è qualcosa di nuovo e, come tale, non può essere inquadrato se viene associato mentalmente a realtà già esistenti. Per esempio alcuni hanno voluto capire che siamo un gruppo di scrittori intenzionati a combattere contro i grandi editori, mentre per certi aspetti è l’esatto contrario: basta scorrere i nomi per vedere che tra noi ci sono autori Mondadori, Einaudi, Bompiani, ed è quindi ovvio che ci stia a cuore la grande editoria italiana. Il fatto è che il discorso andrebbe proprio ribaltato, perché vedi, in questo momento storico è l’editoria ad aver bisogno di scrittori, molto più del contrario. Si è cercato di renderla un’industria dai grandi fatturati mettendo da parte gli scrittori veri, ma come si vede l’impresa era fallimentare. Diciamola così: è la letteratura a fare l’editoria, quindi è chi si intende di letteratura che dovrebbe occuparsene.

In un mondo editoriale dove il mugugno sembra lo sport nazionale, voi offrite un progetto concreto, dettato dal classico ma ormai minoritario, “rimbocchiamoci le maniche”. La crisi è globalizzata, nessuno l’ignora, ma c’è una specie di frenesia in cui i pochi che agiscono tentano strade politiche, culturali, economiche quasi procedendo a tentoni nel buio. Sono sicura che il vostro progetto sia nato da lunghe riflessioni condivise. Fatte da gente che lavora all’interno del sistema editoria. C’è ottimismo, una luce in fondo al classico e abusato tunnel?

Non per tutti. Per giocare con la tua metafora, diciamo che lo si può definire tunnel solo se appunto si viaggia verso una luce, altrimenti si chiama buco. E per molti l’editoria italiana è un buco. Molti se ne stanno lì, nel buco, a dire che sono in un buco e ad aspettare che magari qualcuno li tiri fuori non si sa come. Si scrivono articoli sul disastro dell’editoria, anche ottimi articoli. Belle parole che in genere supportano ragionamenti teorici, incentrati sul tema “Come si starebbe bene fuori dal buco”. C’è la tendenza a credere che per cavarsi dal buco si debba piacere a qualcuno che conta nell’ambiente. Solo che nell’ambiante editoriale, al momento, anche chi conta è incastrato nel buco. Progetto Santiago è nato anche per questo: invece di parlare del buco, noi abbiamo cercato una luce e ci siamo incamminati in quella direzione.

Per alcuni, si dice così quando non si vuole fare nomi e cognomi, la crisi editoriale è iniziata quando si sono affidate le scelte editoriali agli addetti marketing, sottraendole a chi avrebbe dovuto invece occuparsene, per i più ottimisti gente come Cesare Pavese, Italo Calvino, Natalia Ginzburg, gente che intendeva il lavoro culturale come artigianato. Naturalmente sto estremizzando, tu cosa ne pensi?

Il problema delle case editrici affidate agli esperti di marketing è uno di quelli che abbiamo posto tra le premesse della nascita di Progetto Santiago. È un problema gravissimo, enorme davvero. Ma occorre anche capire che insultare gli editori che hanno fatto questa scelta non porta a niente. Più utile è lasciare a loro i fallimenti finanziari e noi occuparci di libri altrove. Perché il nostro mestiere è proprio artigianato, non si scappa: se Calvino intendeva il lavoro culturale come artigianato non lo faceva perché i tempi erano altri, lo faceva perché il lavoro culturale è quello, può essere solo quello. Se non è quello, non è culturale. La cultura e l’alta finanza non possono stare sullo stesso campo da gioco: se fai marketing non fai cultura, e se fai cultura non puoi tollerare il marketing. Il che non nega la possibilità di fare soldi con la cultura. La cultura ha un suo mercato da sempre, e lo avrà sempre. Solo, non funziona come quello delle saponette.

Un progetto editoriale ha anche una dimensione economica o è destinato al fallimento e a smarrirsi nelle nebbie dell’utopia. Voi che scelte avete fatto? Finanziamenti pubblici, sponsor privati, autotassazione, condivisone delle entrate comuni, un po’ come nelle comunità cenobitiche?

La prima scelta è stata quella di non rischiare il fallimento. Non siamo imprenditori: facciamo altri mestieri. Vogliamo che sia il nostro lavoro a portarci il guadagno, non che i nostri soldi finanzino un sogno. Per cui Progetto Santiago non ha scopo di lucro: nelle casse dell’associazione culturale non resta un centesimo. Tutto ciò che incassa serve a pagare i singoli che con il loro lavoro hanno permesso quel guadagno specifico. Poi, sì: esiste anche un sistema di autotassazione, così come cerchiamo sponsor, pubblici e privati, e chiunque può finanziare il progetto con una semplice donazione… Diciamo che il sistema è abbastanza complesso, però è giusto, equo, e permette a ognuno di restare autonomo e di lavorare anche altrove. Ma la cosa più importante di questo sistema è che quanto più il singolo lavora, tanto più viene retribuito.

Il monopolio dei grossi gruppi editoriali sembra una realtà quasi riscoperta in questi giorni (la possibile fusione Mondadori / Rcs, ha scatenato dibattiti e tavole rotonde) quando appunto non è una “nuova” realtà con cui i piccoli e gli indipendenti devono avere a che fare. Parlare è facile, agire un po’ meno. Servono scelte politiche, prima che dibattiti? In Germania si investe in cultura. Da noi?

Da noi no. Ma parliamoci chiaro: a me questo dibattito non interessa più. Mi spiace davvero per le persone che adesso rischiano di finire in mezzo a una strada, ma negli ultimi dieci anni ci sono state molte altre persone che meritavano successo e hanno invece perso il lavoro. Guardiamo la realtà: se l’unione tra due soli gruppi crea un monopolio in un Paese dove gli editori sono centinaia, vuol dire che l’editoria era già monopolizzata da quelle due sole aziende. Il monopolio è una realtà da anni: ha già fatto fallire molti piccoli editori, ha già fatto sparire scrittori meritevoli, ha già ucciso un sacco di ottimi libri. L’intervento dell’Antitrust andava chiesto anni fa, quando la distribuzione è stata assorbita da quelle aziende monopolizzando di fatto tutta la filiera. Se l’Antitrust interverrà solo ora, e solo sul caso Mondadori-Rcs, sarà l’ennesima beffa. Così come a me sembra una beffa che solo ora alcuni autori di Mondadori e Rcs firmino petizioni dicendosi preoccupati per l’editoria indipendente. È divertente che si facciano paladini dei piccoli editori giusto adesso, dopo che per anni il monopolio li ha avvantaggiati proprio a spese di quei piccoli editori, mentre ora sembra minacciare anche loro.

Il lettore è in fondo l’ago della bilancia del mercato, e non so a te, a me fa venire in mente scuola, educazione, capacità critica. “Educare” il gusto del lettore, senza snobismo, ma proprio perché lo si rispetta e lo si vuole considerare al centro del sistema, non importante solo quando va in libreria e apre il portafoglio, non sarebbe la strada da percorrere? Voi cosa fate in questo senso?

Noi lavoriamo proprio in questo senso. Siamo partiti da qui: dall’intenzione di incontrare i lettori, formarli e informarli. Tutti i nostri primi sforzi si sono concentrati sulla creazione di corsi, seminari, eventi e occasioni di incontro. I lettori cosiddetti forti in Italia sono assetati di libri che non trovano. Ciò che vogliono sono informazioni e stimoli. Lo scambio è molto produttivo: noi abbiamo tante cose da dire e loro vogliono sapere, vogliono consigli di lettura, libri diversi, idee nuove e informazioni su come funzionano davvero l’editoria e la scrittura.

Non vi proponete come concorrenti, rispetto alle realtà editoriali già esistenti, ma proponete un progetto comune di collaborazione. Cosa fate perché sia percepito?

Quando paliamo di collaborazioni, parliamo di lavori precisi: su singoli libri, su eventi letterari o artistici, su futuri progetti editoriali e quant’altro. Il tutto, per i lettori o spettatori (presto apriremo anche una sezione dedicata al teatro), deve tradursi nel semplice fatto che Progetto Santiago propone cose meritevoli di attenzione. Per cui con gli editori (così come con gli autori) dialoghiamo nella misura in cui la loro proposta ci interessi e la loro etica sia ineccepibile.