08/06/16

Salto d'ottava compie sei anni



L'8 giugno 2010 - esattamente sei anni fa - usciva in libreria Salto d'ottava, il mio secondo romanzo.



Iniziava così:



Questo posto – questo rudere su cui batte un sole che non scalda, trionfo di ossidazione, calcestruzzo, scheletri ritorti di vecchi macchinari, amarezza e merda di topo – questo scenario urbano schizzato di residui organici e inorganici, rimanenze di giochi portati all’eccesso, graffi sui muri in rapporto diretto con i dipinti delle caverne – questo fulcro dell’imbuto cittadino, incuneato tra la stazione e l’ipocrisia del centro, subito a destra – questo è il Rottame.
Fabbrica abbandonata. Un edificio grande e cinque satelliti. Pezzi di automobili lungo i vialetti. Mattoni forati, catorci. Una porta smontata a calci e crivellata con freccette in evoluzione: temperini, posate, stiletti e autentici coltelli da lancio. Nell’ingresso, una parete brunita e puzza di copertoni, di carbone, di droghe accostate alla fiamma, miscuglio che nell’insieme quasi sa di caldarroste. Dai sotterranei, oltre le grate di ghisa picchiettate di fango, una cadenza d’acqua bisunta che scola, eco di gocce. A sinistra, una scala di cemento e polvere, foglie morte, insetti, e in cima alla seconda rampa, la sala: una fila di pilastri, una parete di finestre scassate, una struttura di barre a scorrimento agganciata al soffitto, da cui pendono drappi di plastica pesante e sudicia. La firma a spray, ripetuta ovunque, dice Met, Met, Met, ossessiva tra colate di vernice rossa e lerciume arcobaleno. E quasi al centro, sul pavimento, in mezzo a schegge metalliche e detriti, in mezzo a qualsiasi cosa vi venga in mente, in mezzo ai piedi, ai coglioni, in mezzo alle palle e al tempo che non procede, il ragazzino insensato, in felpa e scarpe da tennis, la guancia destra appiattita al suolo, l’occhio sinistro aperto al vuoto, coaguli in faccia e altro sangue che risale dal pavimento a inzuppargli i vestiti per capillarità.