30/04/14

La parola imbarazzo

Permettetemi una parentesi sull’uso delle parole.
La parola solidarietà, il verbo sbagliare, la parola opinione: potrei sceglierne molte, ne prendo una a caso: imbarazzo.
La parola imbarazzo si usa a volte per indicare momentanei problemi digestivi, e in generale per manifestare un fastidio lieve, magari causato da fatti un po’ seccanti.
La parola imbarazzo è stata pronunciata in questa intervista, insieme a un no, dal portavoce del Sap, in merito all’applauso dei poliziotti rivolto ai colpevoli di un brutale omicidio.
In questa intervista tutta sbagliata, il primo a sbagliare la parola è stato il giornalista, che l’ha proposta come eventualità, scegliendola in luogo di termini più appropriati quale, per esempio, vergogna.
In ogni caso, «Imbarazzo no», ha risposto il portavoce ufficiale del Sindacato Autonomo della Polizia del Paese in cui vivo: «Imbarazzo no, perché è stato un applauso di solidarietà umana, quindi non… no, obiettivamente no».

Siccome il mio lavoro è la scelta e la correzione delle parole, credo di conoscerne il peso: conosco la portata di una scelta verbale, so i danni che può farci a nostra insaputa. Dico a nostra insaputa perché spesso non notiamo che la forma del racconto può pesare, a volte, molto più del contenuto.

In questa storia gli equivoci si sono prodotti quasi esclusivamente in forma lessicale, come sempre più spesso accade.
Perché in questa storia, dall’omicidio in poi, non c’è niente di misterioso, niente di cui discutere. Per una volta proprio niente.
Al netto dei dibattiti, delle lungaggini dei tribunali, delle posizioni politiche e ideologiche, noi cittadini informati sappiamo perfettamente cosa è successo. Lo abbiamo saputo da subito, perché siamo persone dotate di cervello e conosciamo la realtà. Sappiamo cosa è successo a Genova, e ugualmente sappiamo cosa hanno fatto a Federico Aldrovandi. Forse a qualcuno stupirà sapere che sappiamo perfino perché lo hanno fatto: lo sappiamo perché noi viviamo in questo Paese e abbiamo guardato mille volte gli occhi di certi poliziotti.
Sappiamo che quegli uomini sono assassini, e che chiunque applauda degli assassini difende un crimine, e chiunque difenda un crimine è un criminale a sua volta.
Quell’applauso non era un diritto, né qualcosa di cui si possa discutere. Quell’applauso era una dichiarazione di guerra. Né più né meno.